Un consunto adagio cita: “Un’immagine vale più di mille parole” e mai, forse, come in questa occasione corrisponde al vero.

C’è un’immagine divenuta, in qualche modo, e suo malgrado, l’icona della tragedia vissuta da una porzione molto consistente di popolazione italiana.

Come nel caso di Kim Phúc, la bambina vietnamita, protagonista dello scatto del fotografo dell’Associated Press Nick Ut, e divenuta simbolo della guerra in Vietnam, che corre completamente nuda e terrorizzata dopo essere stata ustionata da un bombardamento con il Napalm, anche la foto della “bambina con la valigia” che ritrae una giovanissima Egea Haffner, che all’epoca della foto aveva solamente 5 anni, esiliata da Pola, che regge, con due mani, la sua valigia sulla quale capeggia un cartello che cita ”Esule Giuliana 30001”, è divenuta una delle immagini simbolo dell’esodo Giuliano-Dalmata.

L’esodo Giuliano-Dalmata, noto anche come esodo istriano, che alla fine della Seconda Guerra mondiale, come conseguenza degli eccidi delle Foibe perpetrati dal governo Jugoslavo di Josip Broz Tito, vide la migrazione forzata della maggioranza dei cittadini di nazionalità e di lingua italiana dalla Venezia Giulia, dal Quarnaro e dalla Dalmazia. Si stima che i Giuliani (in particolare Istriani e Fiumani) e i Dalmati italiani che emigrarono dalle loro terre di origine ammontino a circa 250.000 – 350.000 persone.

Per poter comprendere appieno la vastità della tragedia, ed il senso dei freddi numeri, bisogna immaginare l’esodo, contemporaneo, dell’intera popolazione residente nella Regione Molise, oppure di tutti gli abitanti residenti nell’intero territorio della Provincia di Ferrara o, ancora, di tutti i cittadini residenti nella città di Firenze.

Per non dimenticare quei tragici eventi, con la legge n. 92 del 30 marzo 2004 è stato istituito, e viene commemorato in tutta l’Italia il “Giorno del Ricordo”, con l’obiettivo di “conservare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della complessa vicenda del confine orientale [….]”.

Anche quest’anno, come gli anni precedenti, l’Amministrazione Comunale di Mirano (VE), ha organizzato una cerimonia ed una serie di eventi collaterali per commemorare la tragedia e perpetrarne il ricordo.

Il più significativo di quest’ultimi, a mio parere, si è tenuto presso la sala Consigliare in Corte Errera, con la presentazione del libro di Gianfranco PontiniMemorie dell’Istria Veneziana”.

All’incontro hanno partecipato, oltre alla Sindaca, Maria Rosa Pavanello, la Presidente del Consiglio Comunale con delega alla cultura Renata Cibin, lo Storico Vincenzo Guanci del Centro per la Pace e Legalità “Sonja Slavik, ed il Presidente del Comitato Provinciale di Venezia dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia Alessandro Cuk.

Al di là delle ideologie, dei revisionismi e dei dinieghi, la verità storica degli accadimenti che portarono al perpetrarsi di questa tragedia è una ed una sola seppur, ancor oggi, motivo di divisioni ed omissioni.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo messaggio in occasione del Giorno del Ricordo ha sottolineato come “Il Giorno del Ricordo, istituito con larghissima maggioranza dal Parlamento nel 2004, contribuisce a farci rivivere una pagina tragica della nostra storia recente, per molti anni ignorata, rimossa o addirittura negata: le terribili sofferenze che gli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia furono costretti a subire sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi. Queste terre, con i loro abitanti, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, conobbero la triste e dura sorte di passare, senza interruzioni, dalla dittatura del nazifascismo a quella del comunismo.

Quest’ultima scatenò, in quelle regioni di confine, una persecuzione contro gli italiani, mascherata talvolta da rappresaglia per le angherie fasciste, ma che si risolse in vera e propria pulizia etnica, che colpì in modo feroce e generalizzato una popolazione inerme e incolpevole.

La persecuzione, gli eccidi efferati di massa – culminati, ma non esauriti, nella cupa tragedia delle Foibe – l’esodo forzato degli italiani dell’Istria della Venezia Giulia e della Dalmazia fanno parte a pieno titolo della storia del nostro Paese e dell’Europa.

Si trattò di una sciagura nazionale alla quale i contemporanei non attribuirono – per superficialità o per calcolo – il dovuto rilievo. Questa penosa circostanza pesò ancor più sulle spalle dei profughi che conobbero nella loro Madrepatria, accanto a grandi solidarietà, anche comportamenti non isolati di incomprensione, indifferenza e persino di odiosa ostilità.

Si deve soprattutto alla lotta strenua degli esuli e dei loro discendenti se oggi, sia pure con lentezza e fatica, il triste capitolo delle Foibe e dell’esodo è uscito dal cono d’ombra ed è entrato a far parte della storia nazionale, accettata e condivisa. Conquistando, doverosamente, la dignità della memoria.

Esistono ancora piccole sacche di deprecabile negazionismo militante. Ma oggi il vero avversario da battere, più forte e più insidioso, è quello dell’indifferenza, del disinteresse, della noncuranza, che si nutrono spesso della mancata conoscenza della storia e dei suoi eventi. Questi ci insegnano che l’odio la vendetta, la discriminazione, a qualunque titolo esercitati, germinano solo altro odio e violenza.

Alle vittime di quella persecuzione, ai profughi, ai loro discendenti, rivolgo un pensiero commosso e partecipe. La loro angoscia e le loro sofferenze non dovranno essere mai dimenticate. Esse restano un monito perenne contro le ideologie e i regimi totalitari che, in nome della superiorità dello Stato, del partito o di un presunto e malinteso ideale, opprimono i cittadini, schiacciano le minoranze e negano i diritti fondamentali della persona. E ci rafforzano nei nostri propositi di difendere e rafforzare gli istituti della democrazia e di promuovere la pace e la collaborazione internazionale, che si fondano sul dialogo tra gli Stati e l’amicizia tra i popoli.

In quelle stesse zone che furono, nella prima metà del Novecento, teatro di guerre e di fosche tragedie, oggi condividiamo, con i nostri vicini di Slovenia e Croazia, pace, amicizia e collaborazione, con il futuro in comune in Europa e nella comunità internazionale”.

Leggendo il libro di Gianfranco PontiniMemorie dell’Istria Veneziana” si intraprende un viaggio in quei luoghi, nei luoghi della memoria; le parole traducono per i nostri occhi abitazioni, case, piazze, Chiese e monumenti che erano i luoghi della vita quotidiana per i nostri esuli. Quei muri, quelle strade, quelle pietre “parlano, ancora oggi, italiano”, o forse sarebbe più corretto dire “dialetto veneziano” vista l’influenza storica, in quei luoghi, che ha avuto la Serenissima.

Un libro scevro di qualsiasi, e facile, retorica ma che, non di meno, graffia l’anima. Come più volte ribadito negli interventi che si sono susseguiti, il libro è il resoconto di un viaggio, anche se in realtà è il frutto di diversi viaggi compiuti negli anni in quelle aree geografiche, alla riscoperta delle origini dell’esodo.

Se si vuole interagire con i pochi anziani sopravvissuti agli eccidi delle Foibe, e che sono rimasti in quella che oggi è la Slovenia e la Croazia, lo si fa in Italiano, o il più delle volte in Dialetto Veneto/Veneziano. La ragione di ciò deve essere ricercata nel fatto che, nonostante i confini politici siano cambiati nel corso della storia, le origini, e con esse la memoria, non sono assolutamente, e minimamente, sopite.

In conclusione, un testo dallo stile asciutto ma, di certo, non una guida turistica per viaggiatori distratti ed affrettati; un saggio che aiuta a capire, ed approfondire, il drammatico senso d’impotenza culminato con quell’esodo forzato, la triste, dolorosa ed angosciosa incertezza per un futuro tutto da reinventare lontano da casa che hanno patito quelle popolazioni, quegli Italiani.

Michela Cossidente

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