Un progetto originale fortemente voluto dal talentuoso, quanto eclettico e vulcanico, Maestro Ambrogio Sparagna nel giorno, forse, più significativo per tutti i Lavoratori: il 1° Maggio. Per la VIIa Edizione di “Si Canta Maggio”, Le Trincee del Cuore — I Canti Popolari della 1a Guerra Mondiale. Un concerto diviso in due parti, la prima dedicata proprio alla festa dei Lavoratori con i Cantori Popolari di Galati Mamertino ed Antonio Smiriglia. Musica fatta esclusivamente di parole, a cappella, in Dialetto “Siciliano” che ancora rivive nella sua inossidabile bellezza con la voce stagionata dei suoi esecutori. La seconda parte incentrata sui Canti Popolari, e dialettali, della 1° Guerra Mondiale e qui si innesta, si insinua, prepotente lo spettro della Trincea. La Trincea come monito. La Trincea come metafora. La Trincea come mezzo. La Trincea come Memoria. Nella sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica sono risuonate note dai sapori antichi, autentici, semplici, veri e consolidati, come se quelle note, percorrendo idealmente i camminamenti scavati a mano, a viva forza, dai Soldati delle Nazioni contrapposte durante il Primo Conflitto Mondiale, la Grande Guerra, prendessero corpo, si animassero, ricominciassero a vivere nella memoria anche di chi, per ovvi motivi temporali, non ha avuto la sfortuna di subire in prima persona, sulla propria pelle, quei tragici momenti. Ed ecco che quelle canzoni, quei ritornelli, quelle nenie, dalla grammatica essenziale, colloquiale, senza orpelli, semplice. Semplice come gli uomini che le cantarono cercando un barlume di conforto nella loro armonia, riprendono vigore, si rianimano e ti travolgono con tutta la loro inalterata forza emotiva. C’è il sapore aspro della fatica, della sofferenza, dei patimenti e di tutte le privazioni subite in quelle sillabe concatenate. Ed eccola la Trincea, la prima si erge a imperitura memoria, un monito solenne, un avvertimento inesorabile contro la stupidità dell’uomo. Come fosse un gigantesco segnale di stop, visibile da tutti al fine di evitare un massacro, il massacro di milioni di giovani che delle ragioni che portarono al conflitto nulla ne sapevano. La Trincea, per la sua stessa natura, è anche qualcos’altro, di più tangibile, e qualora possibile, ancora più reale. E’ un percorso, ed eccola la seconda, una metafora perfetta sul senso della vita. Quel cammino tortuoso, invaso dal fango, angusto e malsano che costringe i Soldati, gli Uomini, i Giovani protagonisti, loro malgrado, gomito a gomito. Ed è proprio quella forzata vicinanza che cancella le linee di demarcazione fra i luoghi di provenienza. Non esistono confini nella Trincea, svaniscono i campanilismi, scompaiono le differenze ed a volte possono accadere Miracoli, come quello di un Natale del 1917 quando i Soldati nelle Trincee uscirono e festeggiarono assieme ai loro “Nemici” la nascita di Cristo. La Trincea è in perenne metamorfosi, mai simile a se stessa, mai inerte nella sua statica drammaticità. Ci conduce, quasi come una “guida”, in un luogo forzato, obbligato, necessario ed a cui nessuno avrebbe mai pensato potesse condurre. La nostra Lingua, l’Italiano. Quei Giovani, che sino ad allora erano avvezzi ad esprimersi, principalmente, nella propria Lingua di provenienza, nel proprio Dialetto, di necessità fecero virtù. La Trincea “insegnò” loro a parlarsi in Italiano, per comunicare, per capirsi, per ordinare, per spiegarsi, per consolarsi e, non da ultimo, per confortarsi. La “potenza” di quel mezzo contribuì ad unire l’Italia e gli Italiani sotto il comune ombrello della Lingua. Furono le canzoni canticchiate a mezza voce, per non farsi scoprire la Nemico, per provare ad obnubilare l’immane tragedia che li stava violentando, il primordiale veicolo di comunicazione. Quelle poche strofe, dal sapore autentico che solamente il patriottismo più puro è in grado di esprimere, misero in contatto, fra di loro, quei Giovani obbligati Soldati. In quel brodo malsano e primordiale venne forgiata la “nuova” generazione di Cittadini il cui alto, e nobile, proposito venne miseramente disatteso solo pochi lustri dopo. Della Trincea si potrebbe dissertare per ore, per giorni, per mesi e forse anche per anni perché la sua possente memoria, nonostante il Secolo di età, non è assolutamente svanita, non si è opacizzata, la sua possenza è integra, intatta come la virtù della Memoria. Sembra di vederlo, nelle parole di Ambrogio Sparagna, quel Capitano degli Alpini, ferito a Morte, pare quasi di scorgere la sua divisa lacera, logora, sporca, incrostata di fango misto a sangue. Il suo Sangue.

 

Michela Cossidente

© 2014 HTO.tv – Riproduzione Vietata