Alcuni attivisti di Greenpeace stanno occupando due piattaforme di Shell, nel campo petrolifero di Brent nel Mare del Nord, per protestare contro i piani della compagnia di smantellare alcune vecchie piattaforme petrolifere imuovendo solo la porzione aerea e lasciando sul posto le basi delle stesse, contenenti acque e sedimenti contaminati da 11 mila tonnellate di petrolio.

 
I climbers, partiti dalla nave Rainbow Warrior di Greenpeace, hanno scalato le piattaforme Alpha e Bravo, appendendo striscioni con le scritte “Shell, ripulisci il tuo pasticcio” e “Basta inquinare gli oceani”.
 
«I piani di Shell sono vergognosi e devono essere fermati. Con l’avanzare dell’emergenza climatica, la perdita di biodiversità e l’estinzione delle specie, abbiamo più che mai bisogno di oceani sani per far fronte ai cambiamenti climatici: queste migliaia di tonnellate di petrolio prima o poi inquineranno irrimediabilmente i nostri mari» dichiara Alessandro GIannì, direttore campagne di Greenpeace Italia.
 
«L’Italia non è messa meglio. Bisogna attuare il piano di dismissione delle 34 piattaforme per l’estrazione degli idrocarburi individuate nel “Programma italiano di attività per le dismissioni piattaforme offshore”, redatto a fine 2018 dopo due anni di confronto tecnico tra Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell’Ambiente, Mibact, Assomineraria (l’associazione di categoria dei petrolieri) e associazioni ambientaliste».

Nel 1995 il sostegno pubblico alla campagna Brent costrinse Shell a smantellare la “Brent Spar” – un serbatoio di petrolio con una piattaforma di carico  – a terra invece di affondarlo in mare. La campagna portò nel 1998 alla decisione della Convenzione OSPAR per la protezione del Mare del Nord di vietare l’abbandono in mare delle piattaforme dismesse.


Se il governo inglese permettesse a Shell di infrangere le regole, sarebbe un precedente pericoloso per lo smantellamento, nei prossimi anni, di altre centinaia di vecchie piattaforme presenti in quest’area. Shell ha ricavato miliardi dalle trivellazioni di petrolio in questa regione, e non dovrebbe essere autorizzata a risparmiare
sullo smantellamento a spese del nostro ambiente marino.

Gli affari di Shell stanno impattando fortemente sull’ambiente e sull’emergenza climatica in corso, contribuendo a eventi climatici estremi sempre più frequenti – come tempeste, inondazioni, siccità e incendi – e riducendo in miseria milioni di persone in tutto il mondo. A rischio sono anche alcuni degli ecosistemi più importanti del Pianeta.