Inaugura mercoledì 12 dicembre 2018, alle ore 19.00, negli spazi di Nonostante Marras, la mostra di Franko B, Lost boys e altre storie, a cura di Francesca Alfano Miglietti, aperta al pubblico fino al 31 gennaio 2019.

Alla serata parteciperà l’artista.

In mostra Ragazzi perduti (2018), circa un centinaio di statuine in ceramica colorate di varie dimensioni e forme della serie Ongoing series of ceramic works, elaborati dall’artista, noto soprattutto per la sua attività di performer pioneristico. Ancora una volta nella poetica dell’artista diventa centrale il corpo, come strumento per esplorare i temi dell’individualità, della politica, della resistenza, della sofferenza e soprattutto della vulnerabilità umana. Come afferma la curatrice, “ognuna di queste piccole sculture di Franko è come un taglio del caos: un faccia a faccia che ci costringe a sentirci noi stessi fragili e custodi della fragilità di queste sue ultime sculture.” La vita e il lavoro di Franko B si situano infatti tra isolamento e seduzione, benevolenza e confronto, sofferenza ed erotismo, punk e poesia, spaziando dal disegno all’illustrazione, dalla scultura al ricamo, all’atto performativo.

Franko B, nato a Milano nel 1960, si trasferisce a Londra nel 1979, e studia Belle Arti al Camberwell College of Arts dal 1986 al 1987, al Chelsea College of Art dal 1987 al 1990 e al Byam Shaw School of Art dal 1990 al 1991. Si integra sin da subito nella scena anarco-punk di Londra, esibendosi nei night club. Le sue opere sin dagli esordi suscitano interesse a livello internazionale, tanto da essere ospitate in numerose istituzioni in tutto il mondo, tra cui la Tate Modern, la Tate Britain, la Tate Liverpool, la ICA, il Palais des Beaux-Arts in Belgio, L’Ex Teresa a Città del Messico, il PAC di Milano, la RU ARTS di Mosca, e molte altre. Le sue opere sono inoltre presenti in prestigiose istituzioni private e pubbliche, tra cui la collezione permanente della Tate Modern e del V&A Museum e la collezione permanente della città di Milano. Sul suo lavoro sono state pubblicate tre monografie, la più recente delle quali è I Still Love. Attualmente è professore di Scultura all’Accademia di Belle Arti di Torino. Franko B è conosciuto per le sue lunghe e provocatorie performance, in cui si concentra sulla vulnerabilità dell’uomo attraverso lo spargimento del proprio sangue. Attraverso questa tecnica, ha più volte risposto a questioni come l’oppressione, il dogmatismo, l’abuso e l’esibizione di sé stessi. Si ringrazia Moreno Zani per la preziosa collaborazione.

SCHEDA INFORMATIVA:

Mostra: FRANKO B, Lost boys e altre storie

A cura di: Francesca Alfano Miglietti

Sede: NONOSTANTE MARRAS, via Cola di Rienzo 8, 20144 Milano

Opening: 12 dicembre 2018, ore 19.00

Apertura al pubblico: 12 dicembre 2018 – 31 gennaio 2019

Ingresso: gratuito

Orari: da lunedì a sabato, 10.00 – 19.00; domenica 12.00 – 19.00

Sito: www.antoniomarras.com

TESTO DI FRANCESCA ALFANO MIGLIETTI

Ci sono uomini che sono troppo fragili per andare in frantumi.

A questi appartengo anch’io”.
Ludwig Wittgenstein

Occorre specificare che l’artista, per definire un passaggio, deve collocarsi proprio lì, proprio in corrispondenza del bilico, senza poter fare a meno di sporgersi sul ciglio di un baratro anche a rischio di cadere. Il modo in cui l’artista tiene il bilico forse è ciò che si intende quando si allude allo stile: una sorta di posizione capace di tenere insieme uno squilibrio. Cosa cerca l’artista in quel punto instabile? Difficile a dirsi, difficile anche avvicinarsi. Forse in quel luogo c’è quel punto straordinario in cui l’ombra combacia con la presenza, forse un incontro che ha a che fare con l’esplorazione amorosa, il recupero di una distanza raggiunta. Franko B è l’artista più poetico e sentimentale di questo tempo, attento ai fatti della vita e alla dimensione politica dell’esistere, l’artista che all’ansia dello scontro ha sempre sovrapposto la bellezza e la dignità del vivere. Franko B è l’esatto contrario dell’artista monocorde e ripetitivo, un vulcano di idee, amante della materia, gran sperimentatore, pronto a modellare la terra imponendo una lettura concettuale inedita del suo impiego, e anche nella ceramica opera con grande piglio sperimentale la dimensione che più gli è congeniale: il corpo. Uomini e case e animali, in un abbozzo, una traccia, una sagoma, e cuori e croci e ancora uomini e ancora un cane…le figure di Franko B animano la materia che sembra però volgere, anziché verso la compiutezza del senso figurativo tradizionale, una sintesi astratta, misurando la fisicità del vuoto e la fragilità dell’essere. Franko B sembra sopraggiungere in punta di piedi alle spalle della materia, un divenire-materia, un divenire-forma, un divenire-opera, e così via, nella prospettiva verso la quale spinge per confluire in una dimensione sospesa. Quello di Franko B è un modo di rendere le componenti al suo interno inseparabili, distinte ma inscindibili: questo è ciò che definisce la consistenza delle sue opere, la costruzione di ponti tesi come tra un’isola e l’altra, un punto di contatto, l’esperienza potente e travolgente della fragilità. Ogni opera di Franko B può essere considerata come il punto di coincidenza, di condensazione, di accumulazione delle proprie componenti, e ogni elemento sembra stringere nuove alleanze con un numero sempre crescente di elementi. Ognuna di queste piccole sculture di Franko è come un taglio del caos: un faccia a faccia che ci costringe ad sentirci noi stessi fragili e custodi della fragilità di queste sue ultime sculture. La fragilità, che appare oggi come l’immagine di una esperienza inutile e immatura, inconsistente e nervosa, è invece la metafora di ‘qualcosa’ che si può rompere, frantumare, scheggiare.  Ma a cosa ci riferiamo quando pensiamo alla fragilità? Sono fragili, e si possono rompere le nostre ragioni, le nostre speranze e le nostre inquietudini, le nostre tristezze e i nostri slanci del cuore…  Sono fragili la tristezza e la timidezza, la gioia e la tenerezza, l’amore e le lacrime sono fragili. Attraverso le opere di Franko B, per mezzo dell’utilizzo della ceramica,  si delinea il suo fare come un cacciatore di bellezza, della sua ribellione a colpi di bellezza. Queste opere ci ricordano una frase di Deleuze e Guattari che in Millepiani scrivono che la scrittura è qualcosa che “non si può vedere senza toccarla con la mente, senza che la mente divenga un dito, sia pure attraverso l’occhio” e invitano il lettore ad assumere un ruolo significante, che prende a seguire istintivamente con il dito le linee di quei tratti che non sa più interpretare, una scrittura che “chiama un lettore che non sa più o non sa ancora leggere: vecchi, bambini dell’asilo, che farneticano sul loro libro aperto” , e allo stesso modo ci viene voglia di toccarla questa fragilità, questi esseri fragili che diventano realtà in un materiale delicato, rendendo evidente come tutti i sogni vadano maneggiati con cura perché non si dissolvano alle prime luci dell’alba.