I tre terremoti più forti avvenuti oggi e i meccanismi focali relativi (Quick Regional Moment Tensor). Si notano i movimenti principalmente trascorrenti (orizzontali) delle faglie che si sono attivate nei terremoti di questi giorni.

Il catalogo SHEEC (https://www.emidius.eu/SHEEC/), creato nell’ambito di un progetto finanziato dalla Comunità Europea e denominato “SHARE” (http://www.share-eu.org) mostra che per la zona del terremoto odierno sono noti tre terremoti relativamente forti: quello del 18 dicembre1861 (magnitudo 5.4), quello dell’11 febbraio 1883 (magnitudo 5.1) e quello dell’8 ottobre 1909 (magnitudo stimata 5.7).

 

Sismicità dall’anno 1000 al 2006 (SHARE European Earthquake Catalogue –SHEEC – 1000-1899 e 1900-2006 https://www.emidius.eu/SHEEC/). Sono evidenziati i terremoti del 1861, 1883 e 1909. La stella rossa è l’epicentro del 6.4 di questa mattina.

I primi due eventi appaiono localizzati 10-15 km a SW dell’epicentro della scossa odierna, anche se va tenuto conto delle possibili incertezze, trattandosi di terremoti di epoca pre-strumentale. L’epicentro del terzo, invece, sembra coincidere con quello della scossa odierna. Questo del 1909 è un terremoto non distruttivo, ma che è passato alla storia per essere stato studiato nientemeno che da Andrija Mohorovičić, il famoso geofisico croato che ha legato il proprio nome alla discontinuità che separa la crosta dal mantello terrestre, oggi chiamata familiarmente “Moho”.

L’area che è stata teatro dei terremoti di queste ore è una regione decisamente attiva dal punto di vista geodinamico. La catena Dinarica, che è una porzione della più grande catena dei Balcani, è per alcuni versi simile alla catena appenninica, e come quest’ultima è stata costruita durante l’orogenesi alpina, la più recente delle orogenesi che hanno interessato l’area Mediterranea. Ma la catena Dinarica è speculare all’Appennino, ovvero mostra una “vergenza” opposta. Il termine vergenza indica la direzione generale verso cui la catena montuosa si è spostata nel corso della sua evoluzione, formando un arco lungo molte centinaia di chilometri: per l’Appennino questa direzione è in media NE, mentre per la catena Dinarica è SW. Le due catene quindi si fronteggiano sui due lati dell’Adriatico e proseguono sotto l’Adriatico stesso, fino quasi a scontrarsi nel centro del bacino, grossolanamente a metà strada tra Pescara e Spalato. In un futuro geologico lontano le due catene dovrebbero arrivare addirittura a saldarsi, così come stanno già facendo le Alpi e l’Appennino settentrionale al di sotto della Pianura Padana, chiudendo completamente l’Adriatico.

 

 

Il terremoto di oggi riflette questo meccanismo geodinamico, che i geologi definiscono come “raccorciamento crostale“, ovvero come una tendenza delle masse rocciose ad accavallarsi le une sulle altre rispondendo a un sforzo principale prevalentemente orizzontale, orientato circa NE-SW.

Sappiamo anche che la scossa odierna, e quasi certamente le due precedenti, sono state generate da una faglia nota come “Petrinja Fault”, presente già da diversi anni nel database EDSF (http://diss.rm.ingv.it/share-edsf/sharedata/SHARE_WP3.2_Map.html), costruito nell’ambito dello stesso progetto “SHARE”. La conoscenza delle grandi faglie che possono generare forti terremoti, da un lato, e dei terremoti che queste faglie hanno generato nel corso della storia, dall’altro, sono i due ingredienti fondamentali su cui sono basati i modelli della sismogenesi, che a loro volta fanno da substrato ai modelli di pericolosità sismica, e quindi alle normative sulle costruzioni in zona sismica.

A cura di Gianluca Valensise e Vanja Kastelic, INGV-Rm1.

Source: INGV