Oggi è il 56° anniversario della tragedia del Vajont.

Di parole ne sono state usate davvero molte per raccontare l’immane disastro e la conseguente apocalisse che sconvolse i paesi della valle del Piave, a cominciare da Longarone.

Ne avevo solamente sentito parlare. Un luogo a quasi 1000 chilometri da casa, incastonato in mezzo a montagne conosciute solamente sui testi scolatici.

Avevo anche visto il film che narra le vicissitudini che condussero alla tragedia ma, trovarmi lì, al cospetto di questo doppio arco in cemento che si erge, praticamente intatto, a cavallo del Torrente Vajont mi ha strozzato le parole in gola.

Il silenzio, pulito dal vento, che scivola lungo i pendii delle montagne che lo cingono, la possanza dei monti che lo sovrastano, l’esuberanza della natura che si e impadronita di quello che le spetta, non ammette replica.

Così taccio, osservo, intimorita ed impietrita. Non trovo parole, se non nei pensieri che riverberano dalle immagini che raggiungendo gli occhi vengono rimandate al cervello.

Preferisco tacere.

L’unica cosa che riesco a fare è lasciare una muta preghiera per tutte quelle persone, fra cui quasi 500 bambini, che persero la vita la sera del 9 Ottobre del 1963, non per una tragica fatalità, ma per l’incuria dell’uomo.

 

Michela Cossidente

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