La quindicesima stagione del Teatro Manfredi di Ostia ha aperto l’altra sera con quello che è ormai divenuto un cult della commedia italiana, “Minchia Signor Tenente”, scritto da Antonio Grosso e diretto da Nicola Pistoia. Un esempio di Teatro Civile che il pubblico ha dimostrato, e dimostra ancora oggi, di apprezzare. Dopo undici anni dalla prima rappresentazione e quasi quattrocento repliche in tutta Italia, “Minchia Signor Tenente” diverte, commuove e, nel finale, ammutolisce le platee, risvegliando la coscienza di ogni singola persona seduta in sala, con un epilogo che è un vero cazzotto nello stomaco, che si avverte con maggiore potenza dopo più di un’ora in cui si ride fino a piegarsi in due.

La storia è semplice, quasi banale: siamo nel 1992 e tutto si svolge in una piccola stazione di Carabinieri di un dimenticato paesino arroccato su un cocuzzolo di montagna di una Sicilia ancora governata dalla mafia, quell’Isola bella in cui si nasce, si cresce e si muore prigionieri di uno Stato nello Stato.

Come afferma il matto del paese (uno straordinario Natale Russo), che infatti si inventa continuamente inesistenti furti ai suoi danni pur di passare il tempo e farlo trascorrere ai cinque carabinieri, “in questo posto mai niente succede!”. E di questo si lamentano persino loro, i ragazzi in divisa che costituiscono tutto il “corpo” della Caserma dei CC del paesino.

Così le giornate trascorrono tra riflessioni e scherzi, battute e sfottò, sogni di carriera del maresciallo napoletano Antonio Chichierchia (l’ischitano e bravissimo Antonello Pascale), sogni d’amore del giovane carabiniere abruzzese, sogni di permessi del carabiniere romano, tra quelle poche mansioni quali timbri da apporre su pratiche banali e, casomai, la concessione di una licenza di caccia al farmacista del paese.

Minchia Signor Tenente” racconta la vita quotidiana dei cinque giovani militari che hanno costituito una sorta di famiglia, fino al temutissimo arrivo del nuovo tenente, l’odioso Attilio Prisco (Francesco Nannarelli), ed è un’espressione amara, detta a denti stretti, con una soffocata e prepotente voglia di urlare, perché il farlo vorrebbe dire “insubordinazione”. Ma è pure un’espressione che non si può tacere perché tacerla significherebbe arrendersi a tutto, alla legge del più forte, alle gerarchie che schiacciano, al male del mondo. “Minchia Signor Tenente” è uno spettacolo che fa riflettere sul tema della legalità e, soprattutto, su tutti quegli uomini che non fanno notizia, ma che provano, malgrado tutto, compresa la negligente assenza dello Stato, ad  infondere sicurezza a noi cittadini, quei ragazzi che, tolta la divisa, tornano uomini semplici, ma allo stesso tempo eroi per adempiere ogni santo giorno al loro dovere in modo anonimo e, oltretutto, mal pagato. Ragazzi che non possono neppure sognare di sposarsi con la ragazza del luogo dove lavorano, perché la legge lo vieta, e devono continuare a vedersi di nascosto per tenere segreto il loro amore.

In scena otto attori straordinari, diretti da quel mago della regia che è Nicola Pistoia. Mentre la storia è nata dalla fervida e sensibile penna di Antonio Grosso, napoletano – in scena nei panni del brigadiere –  che a soli 23 anni, ispirato dal titolo della celebre canzone che Giorgio Faletti presentò a Sanremo nel 1994 e, certamente, anche perché figlio di un Maresciallo dei Carabinieri, nonchè discendente di una generazione di Carabinieri, ne scrisse il testo.

Durante la finale di quel Sanremo – racconta Antonio Grosso –  dopo aver ascoltato “Signor Tenente”, mio padre commentò: “Se quest’anno vince Faletti, l’Italia cambia”.

“Signor Tenente” però non vinse, ma si piazzò al secondo posto, restando comunque nella memoria del bambino Antonio, diventando poi, dieci anni dopo, la sua ispirazione per questa storia.

Minchia Signor Tenente” è uno spettacolo che affronta un tema difficile e spinoso con grande ironia, profonda intelligenza e smisurata sensibilità. E’ una commedia che arriva precisa e dritta al centro del cuore e che osserva la mafia da un’ottica di cui forse in pochi avevano tenuto conto.

Ma come si può raccontare argomenti quali la Mafia con leggiadria?

La leggerezza è fondamentale in ogni cosa, soprattutto quando si parla di cose drammatiche, quando si va ad affrontare un argomento tragico nel suo modo di essere, bisogna sempre e comunque attraversarlo con una piena ondata di leggerezza”, risponde Antonio Grosso e, visto il successo di questi undici anni che non accenna ad affievolirsi, ha sicuramente ragione.

Minchia Signor Tenente” viaggia su grandi numeri: in questi giorni festeggia la 400esima replica, è stato visto da circa 90.000 spettatori, vanta 11 anni di rappresentazioni a Roma, Torino, Milano e nelle principali città italiane ed è stato visto anche da circa 5 mila studenti.

La commedia ha vinto il premio Cerami come migliore drammaturgia contemporanea e sullo stesso spettacolo è stata persino scritta una tesi di laurea dal titolo “Il teatro come strumento educativo per la promozione della legalità”.

Minchia Signor Tenente” è un omaggio a tutte le vittime della mafia, talvolta Salvatore Borsellino fratello di Paolo Borsellino, sale sul palco per leggere un testo che in queste sere nel teatro lidense viene letto da Antonio Grosso al termine dello spettacolo.

Al Teatro Manfredi di Ostia resterà in scena fino  a domenica 20 ottobre.

“Minchia Signor Tenente” di e con Antonio Grosso, Daniele Antonini, Antonello Pascale, Gaspare di Stefano, Francesco Nannarelli, Francesco Stella, Federica Carruba Toscano, Gioele Rottini e con la partecipazione di Natale Russo. Regia Nicola Pistoia.

 

Manuela Minelli

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