Fino al 30 aprile la Galleria Forme Spazio Mecenate di Roma ospita la personale del Maestro Maurizio D’Andrea “Significanza – La profondità dell’essere”, curata dal Dottor Gastone Ranieri Indoni.

Circa venti le opere in mostra, quasi tutte di piccolo formato.

La pittura di Maurizio D’Andrea si inserisce con autorevolezza nel filone prestigioso dell’astrattismo internazionale contemporaneo. Le sue opere sono il frutto di una lunga ricerca che ha preso avvio da una timida figurazione evolvendo poi verso un astrattismo e un’astrazione sempre più profonda. D’Andrea dipinge con grande personalità e sapienza tecnica senza concedere nulla all’estetica se non dopo aver dato alla tela il suo messaggio simbolico. Il percorso dell’artista evidenzia una vicinanza spiccata con il cammino e l’evoluzione dei migliori pittori astratti italiani come Burri, Vedova, Morlotti che dopo aver iniziato con la pittura figurativa, dopo uno straordinario percorso di maturazione tecnica e concettuale, sono successivamente approdati alla pittura astratta.

D’Andrea, altresì, non volendo ripetere il pregresso illustre di una pittura che, a cavallo tra gli anni 50 e 60 del ‘900, ha dimostrato una creatività fuori dal comune con la stagione dell’informale e dell’espressionismo, sviluppa un suo stile pittorico astratto “introversico” che lo porterà ad essere unico e riconoscibile nel panorama mondiale. I tempi sono radicalmente mutati e la società contemporanea è dominata dal narcisismo, dai social e dal metaverso digitale che non possono non influire sulle poetiche artistiche. I media condizionano l’operato degli artisti in tutto il mondo spingendo verso omologazioni commerciali ed illusorie sotto l’ala della propaganda mediatica.

D’Andrea rigetta con forza la consumabilità effimera dell’arte celebrativa e fonda a Torino una nuova corrente artistica che impone agli artisti il ritorno all’inconscio e al nostro essere. Nasce il Movimento Artistico Introversico Radicale che si pone in contrapposizione alla realtà virtuale e solo commerciale. Riavvicina l’arte alla filosofia, sociologia ma soprattutto alla psicologia andando a riscoprire gli inconsci collettivi di Jung, gli archetipi primordiali e i miti. D’Andrea instaura un rapporto con lo spettatore in una sorta di sfida interpretativa per la sua inesauribile capacità di conferire significato alle sue tele. Lancia messaggi, nasconde segni, testi, simboli, crea vortici e fughe, movimenti dell’anima che, nella potenza delle astrazioni, fanno della tela un campo di esplorazione e di emozione potenzialmente infinito. Gli strati di colore, le colature, i graffi, gli strofinacci che corrono nevrotici sulla tela alla ricerca della purificazione, la disperazione nella gestualità, la straordinaria padronanza nell’accostamento cromatico fatto di incredibili sfumature, le vie di fuga concettuali, rielaborano in termini innovativi la lezione dell’astrattismo che D’Andrea rimodula in modo molto originale come contaminazione dell’inconscio nell’astrazione e nella riduzione della realtà oggettuale e psichica della nostra società. La pittura di D’Andrea si muove in un continuo movimento tra l’espressionismo astratto, essenzialmente costruttivo con un fare artistico che rivendica il riscatto, e l’informale molto più nichilista e disilluso.

Il pittore è colui che trapassa e respira l’essere intimo delle cose. La tela come creazione artistica è il dispiegamento visibile di ciò che rimarrebbe altrimenti chiuso nell’universo individuale del pittore. In D’Andrea la pittura si incarna in un’interrogazione e nascita continua e segna l’approdo ad una prospettiva ontologica della pittura stessa. Per Cartesio è evidente che si possono dipingere solo cose esistenti, che la loro esistenza consiste nell’essere estese, e che il disegno rende possibile la pittura rendendo possibile la rappresentazione dell’estensione. Cartesio aveva dimenticato la profondità dell’essere, non si era preoccupato del “cuore delle cose”.

D’Andrea con la sua mostra “SIGNIFICANZA” perfora la pelle delle cose e va dritto alla vibrazione della psiche e al dialogo con l’inconscio. Perché la sua pittura astratta è significato e lo fa con una pittura ricca di astrazioni che non cerca l’aspetto esteriore ma le sue cifre segrete, i suoi simboli, i suoi messaggi, le sue finestre dell’anima. Parla di ciò che non ha luogo: l’anima e i suoi moti. Avvicina ad una rivalutazione potente l’interiorità dell’uomo, dove la visione della tela è l’incontro di tutti gli aspetti dell’Essere, un crocevia dove la profondità dell’anima è la strada maestra. D’Andrea nei suoi quadri è un conquistatore di spazi che popola di pennellate, gesti, segni e rituali pittorici pieni di energia, colore e movimento. Parla agli inconsci collettivi che uniscono l’essere umano e predica la Significanza dell’essere contro il metaverso digitale e le sue realtà virtuali. D’Andrea con la mostra “SIGNIFICANZA” soggettualizza il linguaggio astratto rendendolo vettore di un messaggio universale e profondo.

Le opere di D’Andrea sono state esposte, in mostre collettive e personali, in diverse città del mondo riscuotendo notevole successo consacrandolo come il pittore internazionale  dell’inconscio introversico.

Afferma il curatore della mostra Dottor Gastone Ranieri Indoni: “Ammesso che dopo la fase classicistico-figurativa “il bello rinasce anche dall’intensità dell’espressione” l’opera di Maurizio D’Andrea si stacca dalla schiera dei seguaci dell’”informale”,  con invitante proficuità. Dei tanti motivi i più evidenti: il carattere che rivela è primordiale e poi non ha le sue radici in una specie di furia improvvisatrice alla Van Gogh. Osservare con attenzione le opere di Maurizio D’Andrea, negazionista convinto di un figurativo superato dalla natura stessa ormai offesa, significa coglierne la ricchezza della carica astratta, l’acuta sensibilità, la precisione del gusto del colore, l’arditezza delle campiture, l’audacia pur controllata nella stesura, ma soprattutto il convertire il fruitore nella voglia ardita di tuffarsi con lui in quel “ciò che non esiste” del suo ricchissimo intimo sentire.

Un lago di magma denso di egocentrica esclusiva stimolante fantasia creativa che, a dispetto di visioni univoche, propone di accettare una pullulante pluralità e la misteriosa caoticità del reale; per lui i fatti non esistono più, decide e si propone con l’interpretazione dei fatti; per lui mai più una sola verità ma tante verità diverse, nessuna delle quali può essere acquisita come unica.

D’Andrea non cerca a priori armonie di natura intellettuale come ha fatto, per esempio Mondrian, bensì si esprime con occulte strutture e moduli dell’essere inaccessibili alla ragione, in perfetta coerenza con quanto aveva detto Eraclito in tempi veramente non sospetti “L’armonia invisibile è più forte di quella visibile”  Sarebbe da chiedersi quali siano stati e siano i suoi livres de chevet e, al contempo, tentare di percorrere gli angusti meandri e i sinistri cunicoli del suo apotropaico sentiero mentale per potersi configurare, immedesimarsi, giustificare e assistere alla primordiale fase esecutiva dei suoi dipinti: forse un’esperienza da sballo, per quanto fuori da ogni decalogo di classica vecchia bottega!

L’unica verità che più che dedurre, si può immaginare, date dalle sue contorte labirintiche consonanze descrittive improntate a coinvolgenti versioni segniche e colorazioni alternative, è che si è ormai intrappolati in un eterno presente dal quale è stato eliminato il passato e di cui, pertanto, non è prevedibile il futuro; per il D’Andrea che si intuisce, l’immagine del tempo attuale si è sgretolata, non è più quella del tempo antico legata alla natura, e che quella modernità cristiana che aveva pensato e imposto il tempo come una linea continua in protetto cammino dal passato al futuro attraverso il presente, è del tutto svanita. La sua pittura, una scapigliatura postmoderna, ne precisa i confini, magari li delimita, oppure favorisce l’esplodere in campi più vasti la sua sensibile eccitabilità, la sua ispirazione, il suo umor d’animo.  Accettando magari, con l’iniziale intrigante e altrettanto illuminante interrogativo di Marcuse, anche la buona fede di un Eraclito che aveva previsto un suo epigono posdatato di 2500 anni che oggi si è materializzato nell’inclito pittore e nell’audace uomo Maurizio D’Andrea.

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Testo critico del curatore Dottor Gastone Ranieri Indoni

E’ stato Herbert Marcuse a chiedersi “Che cosa siamo dunque noi senza l’aiuto di ciò che non esiste?” Questo il richiamo intrigante, arguto e spontaneo che insorge a chi, per mestiere e per piacere, deve non solo conoscere ma soprattutto studiare ogni stile se intende promuovere e recensire tutti quegli artisti che, imposti dall’ineluttabile ritmo dettato dalla cronologia della committenza, vanno ovviamente esauditi nella loro giustificata aspettativa critica. Come e quale può essere oggi un metodo, o il dato condiviso su cui speculare, pur essendo per esperienza professionale già consapevoli che si rimarrà impigliati nel groviglio immane delle odierne diversità di opinione. Il contemporaneo ha sancito che il bello non è più portatore esclusivo di verità e la cosiddetta “arte vera”, come gli artisti di fine 800 avevano battezzato il figurativo, veniva già scalfita, prima ancora delle mazzate di Duchamp e dei suoi ready-made, dal perentorio Kazimir Malevic che col suo saggio del 1920, scritto con Majakovskij, Suprematismo ovvero il mondo della non rappresentazione, offriva il primo goloso antipasto avanguardista ai succedanei seguaci che si definivano espressionisti astratti come Rothko, Pollock, Mirò, Ernst, Tobey, De Kooning ecc., e/o italiani come Castellani, Manzoni, Vedova, Scanavino, Bonalumi, Fontana ecc… che in effetti hanno poi  osato opporre all’unità, il loro insolente esecrabile anarchico fluido, il loro obbligato discontinuo, il loro deciso e determinato frammentario. Ammesso che dopo la fase classicistico-figurativa “il bello rinasce anche dall’intensità dell’espressione” l’opera di Maurizio D’Andrea si stacca dalla schiera dei seguaci dell’”informale” con invitante proficuità. Dei tanti motivi i più evidenti: il carattere che rivela è primordiale e poi non ha le sue radici in una specie di furia improvvisatrice alla Van Gogh. Osservare con attenzione le opere di Maurizio D’Andrea, negazionista convinto di un figurativo superato dalla natura stessa ormai offesa, significa coglierne la ricchezza della carica astratta, l’acuta sensibilità, la precisione del gusto del colore, l’arditezza delle campiture, l’audacia pur controllata nella stesura, ma soprattutto il convertire il fruitore nella voglia ardita di tuffarsi con lui in quel “ciò che non esiste” del suo ricchissimo intimo sentire. Un lago di magma denso di egocentrica esclusiva stimolante fantasia creativa che, a dispetto di visioni univoche, propone di accettare una pullulante pluralità e la misteriosa caoticità del reale; per lui i fatti non esistono più, decide e si propone con l’interpretazione dei fatti; per lui mai più una sola verità ma tante verità diverse, nessuna delle quali può essere acquisita come unica. D’Andrea non cerca a priori armonie di natura intellettuale come ha fatto, per esempio Mondrian, bensì si esprime con occulte strutture e moduli dell’essere inaccessibili alla ragione, in perfetta coerenza con quanto aveva detto Eraclito in tempi veramente non sospetti “L’armonia invisibile è più forte di quella visibile”  Sarebbe da chiedersi quali siano stati e siano i suoi livres de chevet e, al contempo, tentare di percorrere gli angusti meandri e i sinistri cunicoli del suo apotropaico sentiero mentale per potersi configurare, immedesimarsi, giustificare e assistere alla primordiale fase esecutiva dei suoi dipinti: forse un’esperienza da sballo, per quanto fuori da ogni decalogo di classica vecchia bottega!  L’unica verità che più che dedurre, si può immaginare, date dalle sue contorte labirintiche consonanze descrittive improntate a coinvolgenti versioni segniche e colorazioni alternative, è che si è ormai intrappolati in un eterno presente dal quale è stato eliminato il passato e di cui, pertanto, non è prevedibile il futuro; per il D’Andrea che si intuisce, l’immagine del tempo attuale si è sgretolata, non è più quella del tempo antico legata alla natura, e che quella modernità cristiana che aveva pensato e imposto il tempo come una linea continua in protetto cammino dal passato al futuro attraverso il presente, è del tutto svanita. La sua pittura, una scapigliatura postmoderna, ne precisa i confini, magari li delimita, oppure favorisce l’esplodere in campi più vasti la sua sensibile eccitabilità, la sua ispirazione, il suo umor d’animo.  Accettando magari, con l’iniziale intrigante e altrettanto illuminante interrogativo di Marcuse, anche la buona fede di un Eraclito che aveva previsto un suo epigono posdatato di 2500 anni che oggi si è materializzato nell’inclito pittore e nell’audace uomo Maurizio D’Andrea.

Gastone Ranieri Indoni

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Breve Bio dell’artista

Maurizio D’Andrea è nato a Napoli ai piedi del Vesuvio e guardando verso il mare. Laureato con lode in Vulcanologia, come i vulcani ha espresso tutta la sua energia e creatività fin dall’adolescenza.

L’artista inizia giovanissimo a dipingere ad olio, instaurando un rapporto profondo e viscerale con la tela.

Dipinge con le mani e i suoi paesaggi immaginari che rappresentano l’anima e una serie di stanze con porte e finestre sono la caratteristica distintiva dei suoi primi dipinti.

Nella sua maturità, l’artista si trova a cavallo di tecniche e generi artistici molto diversi: dall’utilizzo di strumenti informatici per creare dipinti digitali alla pittura più materica con acrilico su tela utilizzando strumenti insoliti, che permettono al mondo interiore di emergere energicamente e istintivamente.

Nei dipinti digitali l’artista riesce ad esprimere tutto il suo mondo interiore, la sua energia, utilizzando il freddo linguaggio digitale e la sua anima software.

Non ha paura di usare e accostare forti variazioni cromatiche; al contrario, li impiega sapientemente per stupire l’osservatore e iniettare energia e movimento.

Sperimenta, scrivendo codici di programmazione, arte generativa, realizzando al computer tutta una serie di disegni dove il codice è il braccio e l’artista è la mente.

Non si ferma mai. La sua creatività, ma soprattutto la sua voglia di ricerca e sperimentazione, non glielo permettono.

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Significanza – La profondità dell’essere di Maurizio D’Andrea

1-30 aprile Galleria Forme Spazio Mecenate

Via Mecenate 8d – 00184 Roma Tel. 351 8202815

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