«In pochi decenni abbiamo svuotato i nostri mari con pescherecci industriali sempre più potenti. Il risultato è che molte specie un tempo comuni e abbondanti sono sull’orlo del collasso e con loro anche i piccoli pescatori artigianali. Oggi i mercati sono invasi da pochi prodotti provenienti da pratiche di pesca distruttiva o da false alternative, come l’acquacoltura intensiva, così come da certificazioni di sostenibilità che non sono affidabili. Ma un modello diverso e alternativo di pesca e consumo di pesce (Fair Fisheries) è possibile e va incentivato», dichiara Serena Maso, Campagna Mare Greenpeace Italia in un convegno organizzato oggi a “Fa’ la cosa giusta!”. A confronto pescatori artigianali, consumatori e ricercatori che stanno promuovendo iniziative che puntano a un consumo di pesce responsabile e a valorizzare la pesca sostenibile e le produzioni artigianali del territorio, in contrapposizione al corrente modello distorto e insostenibile di mercato e consumo del pesce che si basa su produzioni industriali che distruggono il mare. Le buone pratiche e start up presentate oggi da Greenpeace vanno da iniziative locali promosse dai Gruppi d’Acquisto Solidale, come “Pesce d’Aprile” o “La Casa dei Pesci” contro la pesca illegale, a progetti del mondo scientifico e della ricerca  a supporto dei piccoli pescatori artigianali locali, fino alle piattaforme digitali come Kalulu che mettono in contatto online i produttori con i consumatori. Tutte iniziative di pesca artigianale che hanno un basso impatto ambientale e che tagliano le catene di approvvigionamento. «Quello che Greenpeace vuole stimolare è un nuovo modello che metta al centro i piccoli pescatori artigianali, normalmente esclusi dai canali della grande distribuzione,  e i consumatori che con le loro scelte alimentari e i loro acquisti possono orientare il mercato e renderlo più equo, giusto e sostenibile», conclude Maso.