In occasione di “Open”, ossia l’apertura al pubblico degli studi di Architettura, organizzata dall’Ordine Nazionale degli Architetti, con cadenza annuale, l’Architetto Lorenza Cavinato ha invitato Sibyl von der Schulenburg a presentare il suo saggio dal titolo “Lo specchio della città – Architettura, ambiente e psicologiaIl Prato Editore. Il luogo scelto per la presentazione, oltre che lo studio dell’Arch. Cavinato, è al primo piano della struttura che ospita l’azienda di famiglia, l’Azienda AgricolaLe Centurie”, una rinomata cantina che propone esclusivamente un’ottima selezione di vini I.G.P e D.O.P. a Mirano (VE). La prima cosa che ha stupito tutti, a cominciare dalla padrona di casa, è stato l’interesse suscitato dalla presentazione di questo saggio; è convenuto un numero così elevato di persone che, nonostante le più che generose dimensioni della sala che ci ha ospitato, quest’ultima quasi non riusciva a contenerle tutte. Il testo analizza, da un punto di vista che oserei definire “non ortodosso”, le modalità progettuali degli spazi abitativi. Un testo elegantemente supportato da innumerevoli studi e ricerche, tutte ben documentate per chi volesse approfondire questi aspetti dopo aver letto il saggio. “Una sorta di strigliata agli Architetti”, ed ancora “…tutti gli Architetti dovrebbero leggerlo”, con queste parole ha introdotto il testo l’Arch. Cavinato; un saggio che fa riflettere e, in qualche modo, ripensare ai criteri con i quali vengono progettati gli spazi abitativi e tutto ciò che li circonda. In sostanza il libro analizza gli effetti che ha l’ambiente, sia naturale che costruito, sull’essere umano. Le modalità realizzative degli spazi, e viene ampliamente dimostrato nel saggio, hanno effetti anche dirompenti sull’animo, sul comportamento, nell’interazione fra individui, e questo non solo nelle periferie, magari quelle più degradate, ma anche in quartieri tutto sommato, meno periferici, più moderni e magari anche realizzati con più attenzione. Risulterebbe banale, o quanto meno riduttivo, pensare che si sia discusso esclusivamente di bio-architettura; in realtà si è ragionato, e ci si è confrontati, su un’architettura più “normale” che, qualora, organizzata in modo che favorisca l’interazione fra gli individui, contribuisce a migliorare, notevolmente, la convivenza e la percezione del benessere psichico di chi ne usufruisce sia in maniera attiva che passiva. Al di là dei “problemi” oggettivi con cui si deve, gioco forza, confrontare, in fase di progettazione, ogni Architetto, quali a mero titolo di esempio certamente non esaustivo, i materiali da utilizzare, la loro durata nel tempo, la forza di gravità da contrastare, le line essenziali con le quali vengono, generalmente, realizzati gli spazi, frutto anche dell’evoluzione stilistica, e che di per sé nulla ha di sbagliato, si scontrano, però, al di là dell’aspetto meramente estetico che ovviamente varia in funzione della sensibilità del singolo, con una realtà certamente più subdola ed infida, ossia con le reazioni emotive che i fruitori, attivi o passivi che siano, percepiscono dagli stessi. Da un decennio, o poco più, ci si è resi conto che gli spazi estremamente, o forse sarebbe meglio dire esclusivamente, pragmatici ed esclusivamente funzionali, male si accompagnano ad uno stile di vita che renda più felici. Finalmente si tende a prestare molta più attenzione, oltre che alle volumetrie sfruttate con il massimo dell’efficienza, anche, e soprattutto, a tutto quanto ciò che circonda quegli spazi dedicando molta più attenzione, rispetto ad un passato recente, agli aspetti che, di fatto, rispecchiano il nostro modo di essere; in altre parole, non solo “mera” efficienza ma anche possibilità di vivere in armonia con quello che ci circonda ed in maniera rispettosa dell’ambiente circostante. Questo l’aspetto sottolineato ed eviscerato con maggior incisività sia dall’autrice Sibyl von der Schulenburg che dall’Arch. Cavinato. In conclusione, un ottimo saggio, facilmente fruibile anche da i non addetti ai lavori, una sorta di porta girevole che permette di affacciarsi e di fare luce su un modo, tutto sommato nuovo, per nulla banale e scontato, di fare e pensare l’architettura, soprattutto, in funzione di chi dovrà usufruire e vivere quotidianamente quegli spazi.

Michela Cossidente

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