Dovrà chiudere questa mattina lo storico Caffè Greco di Via Condotti a Roma.

Sebbene aperto nel 1760 e riconosciuto dai Beni Culturali come “bene culturale di interesse particolarmente importante”, un po’ come le Catacombe o le Basiliche di Roma che i turisti di tutto il mondo vengono ad ammirare, per l’Antico Caffè Greco il Tribunale di Roma ha così deciso. C’è una sentenza di sfratto per fine locazione e la proprietà, che attualmente è dell’Ospedale Israelitico, lo rivuole indietro. Così il “bene culturale di interesse particolarmente importante” Caffè Greco, vincolato dal un decreto ministeriale del 1953 ed “espressione di identità culturale collettiva” (art. 7bis del Codice dei beni culturali e del paesaggio), dall’oggi al domani, sarà distrutto. Un pezzo della cultura e della storia di Roma, diventato nei secoli Storia del mondo intero, palpitante di vita e di arte, sarà cancellato, gli storici locali, brulicanti di habitué, artisti, intellettuali e turisti provenienti da dovunque, rimarranno desolatamente vuoti e chiusi al pubblico (con arredi e collezioni d’arte di proprietà della Società Antico Caffè Greco inamovibili) e quaranta dipendenti saranno licenziati. Del resto il contratto d’affitto di 21 mila euro mensili è scaduto già dal 2017 e la Società di Carlo Pellegrini, attuale gestore dell’Antico Caffè Greco, non può più opporsi allo sfratto e dovrà restituire le chiavi.

Si vocifera che al posto del Caffè Greco potrebbe aprire un negozio Monclear o qualche altro brand o multinazionale che può sì permettersi di pagare l’affitto di 180mila euro al mese richiesto dalla proprietà, che però sembrerebbe non essere compatibile con gli arredi che sono appunto intoccabili.

La vicenda non è di semplice risoluzione perchè il Caffé Greco non può cambiare i suoi connotati: c’è un doppio vincolo su divanetti, tazzine, specchi, quadri, lampadari e arredi, poiché dal 1953 esiste una protezione per ogni oggetto o suppellettile che c’è là dentro. E di recente è intervenuto anche il Ministero di Beni Culturali a dirlo. Significa che il Caffé Greco non cambierà destinazione e che dunque è salvaguardato il tesoro museale di almeno 400 pezzi tra quadri, sculture, arredi e foto d’epoca come, ad esempio, quella del 1948 tra Ennio Flaiano, Aldo Palazzeschi, Vitaliano Brancati, Orson Welles, Sandro Penna e Lea Padovani.

Tutta l’intellighentia romana e non solo si è mobilitata per impedire lo sfratto o, meglio, lo scempio di un locale che ha fatto la Storia. L’associazione Roma Tiberina, con il suo Salotto Romano, intende agire affinché il Caffè Greco continui la sua attività storica. In ciò è confortata dalla solidarietà di altre associazioni culturali, tra le quali spicca Italia Nostra che già da anni si batte per lo stesso scopo. Per tutto il mese di ottobre all’interno del Caffè Greco si sono tenuti incontri culturali organizzati per l’occasione dal Salotto Romano nella storica Sala Rossa a cui hanno partecipato gratuitamente intellettuali, artisti, poeti, attori, musicisti e letterati.

La ruspa giudiziaria, guidata da automi in toga abituati a gestire serialmente e burocraticamente sfratti, locazioni ed esecuzioni di routine, sta inesorabilmente abbattendo nel centro di Roma un bene culturale tutelato dal ministero dei Beni culturali e ambientali, sfrattando per finita locazione la Società Antico Caffè Greco come se si trattasse di sfrattare un qualunque “pizzicagnolo” (con tutto il rispetto per la categoria) – spiega Sandro Bari, Presidente dell’Associazione culturale Roma Tiberina e del sodalizio Casa della Romanità in un comunicato stampa, che in questi ultimi giorni di vita dello storico Caffè Greco ha radunato il mondo della cultura per impedire l’annullamento di quel luogo dove negli ultimi duecentosessanta anni sono passati personaggi che hanno fatto la storia della letteratura, dell’arte, della musica, della letteratura e del teatro.

Christian Andersen a Guillaume Apollinaire, Lord Byron a Schopenauer, Gabriele d’Annunzio e Massimo d’Azeglio, Giacomo Casanova, François René de Chateaubriand, Ennio Flaiano, Wolfgang Goethe, James Joice, Carlo Levi, Giacomo Leopardi, Carlo Alberto Salustri, meglio noto come Trilussa, Nietzsche, Ibsen, Hawthorne, Alberto Moravia ed Elsa Morante, Aldo Palazzeschi e Cesare Pascarella, Ennio Flaiano e Pasolini, Mario Soldati e Mark Twain, Silvio Pellico e Thomas Mann, Shelley, Stendhal, Henryk Adam Aleksander Piius Sienkiewicz, autore del celebre romanzo“Quo Vadis?” e tanti altri, in quella celeberrima Sala Rossa, davanti a un caffè bollente o un calice di vino, hanno radunato i pensieri e appuntato frasi e pensieri tracciando le trame delle loro grandi opere. E gli immortali della grande musica, nomi come Bizet, Brahms, Mendelsshon, Liszt, Rossini, Sgambati, Petrassi, Toscanini, Wagner e un’infinità di altri è al Caffè Greco che dissertavano di arie e sinfonie, forse scrivendo le note dei loro capolavori. Ed è sempre tra quei velluti rossi e quelle mura che si svolgevano le chiacchierate in ogni lingua di altri grandi quali Antonio Canova, Giuseppe Cellini, Renzo Vespignani, Jean Baptiste Camille Corot, Giorgio de Chirico, renato Guttuso (che ha ritratto il Caffè Greco in uno dei suoi più celebri dipinti), Ludovico II di Baviera, Gioacchino Pecci, futuro papa Leone XIII, Giulio Aristide Sartorio, Orfeo Tamburi, Bertel Thorvaldsen, Sandro Penna, Orson Welles, Mario Mafai e persino, sembrerà strano ma è Storia, Toro Seduto. Loro e tutti gli altri si staranno rivoltando nella tomba e chissà che non riescano a fare il miracolo.

All’inizio del XIX secolo il Caffè Greco divenne il ritrovo preferito di artisti e intellettuali tedeschi che si trovavano in Italia. A documentazione di ciò vi sono, tra gli altri, gli schizzi e i ritratti a matita eseguiti da Carl Philipp Fohr in preparazione di un quadro mai realizzato a causa della morte dell’artista, annegato nel Tevere. Gli schizzi, conservati a Heidelberg e a Francoforte, sono ambientati nel Caffè Greco e raffigurano tra gli altri il pittore tirolese Joseph Anton Koch, il poeta Friedrich Rückert, Theodor Rehbenitz, Peter von Cornelius, Friedrich Overbeck che gioca a scacchi con Philipp Veit, e J.N. Schaller.

Nella sala Omnibus del Caffè Greco sono esposti i medaglioni, le placchette in gesso e le miniature raffiguranti gli artisti, poeti, musicisti, che nel corso degli anni hanno frequentato il locale.

Sandro Bari che ben conosce la complessa vicenda dell’Antico Caffè Greco ci spiega che “la ruspa giudiziaria è stata avviata dall’Ospedale Israelitico, che ha intimato alla Società Antico Caffè Greco uno sfratto per finita locazione dopo aver vanamente tentato di far rimuovere dai giudici amministrativi il vincolo di tutela sul bene culturale Caffè Greco, poiché, a suo dire, creava “l’inconveniente di una comunione forzosa” tra l’immobile (dell’Ospedale Israelitico), i beni mobili e la licenza di esercizio (di cui è titolare la Società Antico Caffè Greco). Il Tar del Lazio, con una sentenza del 2011 passata in giudicato, ha definitivamente chiarito la natura del vincolo di tutela, apposto non solo sui locali (immobile) e sugli arredi, cimeli, decorazioni (mobili), ma anche sulla “licenza di esercizio”. E ciò perché “il Caffè Greco costituisce un pregevole esempio di “pubblico ritrovo”, consolidatosi nel tempo in virtù della consuetudine di una certa tipologia di avventori di frequentarlo e renderlo centro di incontri culturali”. Secondo i giudici amministrativi non è conforme alla ratio e alla lettera del vincolo ministeriale “restringere la tutela all’immobile e ai beni mobili, essendo chiara la volontà dell’Amministrazione di ricondurre il vincolo al particolare valore commerciale assunto nel tempo dalla destinazione del locale, dall’essere detto locale un ritrovo di artisti, anche stranieri, quindi un luogo noto in Italia e all’estero come centro di vita artistica”. Ma l’Ospedale Israelitico, perdente davanti al Tar, non s’è perso d’animo e in barba al giudicato amministrativo ha ritenuto di eliminare ugualmente “l’inconveniente” di quella “comunione forzosa”, cambiando semplicemente giudici, e intimando lo sfratto, senza coinvolgere il ministero dei Beni culturali a norma di legge. L’esecuzione dello sfratto in base all’ordinanza di convalida era stata per la verità sospesa dai giudici della Corte d’Appello di Roma che avevano ripreso gli argomenti dei giudici amministrativi. Ma l’Ospedale Israelitico ha avviato una nuova esecuzione sulla base della sentenza di convalida dell’ordinanza di sfratto intervenuta in seguito, e la ruspa giudiziaria ha ripreso ottusamente la sua corsa verso uno sfratto che, in realtà, è lo sfratto di un bene culturale, di un’espressione di identità culturale collettiva, di valori che appartengono a tutti”.

E insieme a Sandro Bari, tutti gli intellettuali che negli ultimi giorni hanno dato vita a spettacoli e reading nelle sale del Caffè Greco si chiedono perché l’ordinamento giuridico del Paese con il maggior patrimonio culturale al mondo è così poco attrezzato giuridicamente (o giuridicamente insensibile) da consentire la distruzione di un importante bene culturale con un banale sfratto per finita locazione, piegandosi agli interessi economici dei potenti di turno.

Questa mattina il Caffè Greco, nella centralissima via dei Condotti a Roma, sarà aperto e sul posto ci sarà anche Vittorio Sgarbi. Il critico d’arte ha fatto una promessa molto precisa. “Dove c’è da difendere la cultura e la storia lì c’è Vittorio Sgarbi. È stato così da sempre. Per questo motivo martedì sarò a Roma a prendere un caffè all’Antico Caffè Greco che non può e non deve chiudere. Questa è una battaglia di civiltà, contro chi pensa che col denaro è possibile fare tutto. Si può fare molto, ma non tutto. Non a scapito della memoria comune che va preservata. Dalle 7.30 alle 9 offrirò cappuccino e brioches a tutti i manifestanti”.

Questa mattina ci sarà una folla in Via Condotti. Non solo per scroccare la colazione a Sgarbi e non soltanto perché c’è un antico caffè da salvare. Questa mattina in via dei Condotti a Roma è in ballo la storia, la cultura, la dignità, non solo dei romani, ma quella di tutti, nessuno escluso.

 

Manuela Minelli

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